Studiare negli USA nel 2025: i tuoi social network ora valgono quanto il passaporto

A partire dal 18 giugno 2025, ottenere un visto per studiare negli Stati Uniti non significa più solo dimostrare di avere le risorse economiche o un buon curriculum. Ora bisogna anche aprire le porte del proprio mondo digitale: Instagram, TikTok, X, Reddit, Facebook. Tutto pubblico, tutto disponibile, tutto potenzialmente rilevante.

Il Dipartimento di Stato americano ha infatti attivato una nuova procedura di controllo per i visti F (studenti), M (formazione tecnica) e J (scambi culturali). Ogni richiedente deve comunicare i propri handle social e rendere i profili pubblici. Il nuovo protocollo, pensato come risposta a minacce alla sicurezza nazionale, comporta un’analisi approfondita della presenza online dei candidati. E non solo per chi arriva da Paesi considerati “a rischio”: ogni studente internazionale potrebbe ora vedersi esaminare post, commenti, interazioni e perfino l’assenza di attività social.

Il caso Harvard: quando lo scrutinio diventa sistemico

La misura ha già trovato un banco di prova clamoroso: Harvard University. Da fine maggio 2025, chiunque richieda un visto per partecipare ad attività connesse all’ateneo — studenti, docenti, ricercatori o anche semplici visitatori per eventi — entra in un processo definito “enhanced vetting”. Questo comporta una revisione dettagliata del profilo digitale e una valutazione su eventuali contenuti considerati ostili agli Stati Uniti o collegati a proteste, ideologie ritenute pericolose o minacce percepite alla sicurezza.

In parallelo, il governo ha avviato un’indagine sull’idoneità di Harvard a sponsorizzare studenti internazionali. Se l’autorizzazione venisse revocata, l’ateneo non potrebbe più accogliere nuovi iscritti dall’estero. Un segnale fortissimo, che molti osservatori temono possa allargarsi ad altre università americane.

Dai social alla sicurezza: cosa cercano davvero i funzionari consolari

La nuova direttiva invita gli agenti consolari a identificare segnali di “ostilità verso cittadini, istituzioni o principi fondanti degli Stati Uniti”, o di eventuale “supporto a entità terroristiche o a discorsi antisemiti”. Ma anche semplici post politici o meme fuori contesto possono diventare oggetto di analisi.

L’avvocatessa americana Elizabeth Ricci ha dichiarato che “anche un account privato può generare sospetti, perché la mancanza di trasparenza viene talvolta interpretata come un segnale negativo”. In altri termini, anche non esserci — o sembrare troppo prudenti — può giocare contro.

Oltre ai contenuti, viene valutata anche la coerenza con lo status richiesto: uno studente che sembra interessato a lavori occasionali o connesso a esperienze non compatibili con il visto potrebbe essere respinto.

Ritardi, backlog e incertezza: il nuovo scenario per chi vuole partire

O colloqui per i visti F, M e J sono stati sospesi per oltre un mese, fino a fine giugno, per permettere l’adeguamento dei consolati al nuovo sistema. Ora che le procedure sono riprese, i tempi si sono allungati in modo significativo.

Secondo Loren Locke, ex funzionario del Dipartimento di Stato, “l’esame digitale comporta ore di lavoro in più per ogni singola pratica. Il rischio è che le ambasciate non riescano a gestire i volumi, generando ritardi critici soprattutto nei mesi estivi”.

Il consiglio degli esperti: prenotare con largo anticipo e, per chi è già negli USA, valutare se davvero valga la pena rientrare in patria rischiando di non poter tornare.

Un cambio di paradigma: dai documenti ai dati

Fino al 2024, i visti per studenti si basavano su elementi “classici”: la lettera di accettazione (I-20), la dimostrazione dei mezzi di sostentamento, le motivazioni accademiche. La politica attuale segna un cambio di paradigma: non si valuta più solo cosa vuoi fare, ma cosa pensi, cosa dici, e cosa potresti dire.

La libertà di espressione è ancora un valore negli USA, ma nel contesto della sicurezza nazionale, le opinioni espresse online possono diventare motivo di rifiuto. Giuristi e associazioni accademiche temono un effetto domino: meno candidature, più autocensura, meno scambi culturali.

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E per gli italiani?

Al momento non risultano casi eclatanti di studenti italiani colpiti dalla nuova policy, ma il rischio esiste. Soprattutto per chi ha condiviso contenuti politici, ha partecipato a proteste o manifesta opinioni forti sui temi internazionali. In caso di richiesta visto, è consigliabile:

  • Ripulire o archiviare contenuti potenzialmente controversi
  • Evitare contraddizioni tra ciò che si pubblica online e quanto dichiarato durante il colloquio per il visto
  • Prepararsi a domande anche molto personali

E, soprattutto, non sottovalutare più il peso della propria identità digitale.

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